In questi anni di carestia idrica e cambiamenti climatici vi proponiamo un piccolo appuntamento per raccontarvi di un grande progetto, l’Orto dei Tu’rat.

In Puglia un gruppetto di persone porta avanti da anni un progetto la realizzazione di un ecosistema autosostenibile dal punto di vista ambientale. Ve ne diamo solo un piccolo assaggio: “L’intervento si propone di sviluppare un modello sostenibile di gestione delle risorse, mettendo in atto una serie di misure che agiscono attivamente sulla tutela e incremento della biodiversità, sulla difesa dall’erosione e desertificazione, attraverso sistemi che tutelano i cicli idrogeologici (boschi e copertura vegetale), l’implementazione di modelli idrici e idraulici (recupero delle acque piovane, sistemi antichi di captazione d’acqua attraverso strutture arcaiche come i “Tu’rat” e i muretti ‘a secco’), e pratiche agricole a basso impatto (agricoltura biologica, aridocoltura).
L’opera, seguirà, da una parte, le regole implicite dettate dalla disciplina dell’ecologia del paesaggio per la riqualificazione dell’area con elevati requisiti di naturalità e funzionalità ecologica (bosco termofilo a sclerofille mediterranea); dall’altra, seguirà la “logica delle sensazioni” capace di generare spazi seminaturali e multifunzionali di nuova concezione dove il confine tra arte, ecologia del paesaggio, biodiversità, identità storica e paesaggistica dei luoghi, si fa labile e indistinto.”

Vi diamo appuntamento per venerdì 20 marzo alle 21 in via Roma 30 a Pianello Val Tidone. Per informazioni tel 348/7186660 email: echofficine@gmail.com

Siamo disponibili a consulenze gratuite personalizzate per approfondire la conoscenza di questo tema sia in modo teorico che pratico.

E vi lasciamo con una lettura tratta dalle pagine filosofiche dell’Orto dei Tu’rat.

Sappiamo che il Sahara non è stato sempre un deserto, che ha avuto periodi di umidità e abbondanza, testimoniati dalle immagini preistoriche dipinte e graffite a migliaia sulle sue rupi. Raffigurano un ambiente ricco e popolato dove, oltre 8.000 anni fa, comunità umane conducevano un’esistenza opulenta che consentiva la liberazione di tempo utile per la creazione, il pensiero, la religione e l’arte. (…) L’umanità impara a domesticare e selezionare le piante e gli animali e a modificare produttivamente lo spazio che la circonda. Imbocca il lungo cammino che separerà sempre più la natura e la cultura. E proprio la conoscenza fu la causa della distruzione di quei primi paradisi. Infatti le grandi mandrie di buoi, sostituite alla varietà delle specie, determinarono un carico eccessivo per l’ambiente. Imposero la trasformazione delle foreste in pascoli, cosa che provocò con il tempo la sparizione del manto vegetale. Il suolo, non protetto dagli alberi, fu smantellato dall’escursione termica e dal vento, e trasformato in sabbie sterili. La gran parte delle acque superficiali sparirono, asciugate dal sole o inghiottite dal sottosuolo.

Solo in seguito a questa catastrofe l’umanità, rimasta sola di fronte al deserto, ne ha appreso la dura lezione, e la civiltà delle oasi porta il segno di quella caduta, dell’errore  della catastrofe originaria, e della grande capacità di rinascita. (…)

Spesso i Tuareg, a tramonto siedono immobili sulla cima delle dune più alte. Dicono di ascoltare la voce del gigante. Questa voce risuona come un grido. Il grido del deserto che nessuno può ignorare. Esso dice: solo un nuovo patto tra tutta l’umanità, e tra questa e le specie animali e vegetali, può garantire la sopravvivenza di quell’oasi nel cosmo che si chiama Terra.

P. Laureano

L’orto senz’acqua e senza chimica